Botticelli. L’Adorazione dei Magi
L’Adorazione dei Magi degli Uffizi è forse – assieme alla Primavera e alla Nascita di Venere dello stesso museo – il dipinto più celebre e senz’altro tra i più riusciti e affascinanti di Sandro Botticelli (1445-1510), uno dei più grandi e celebri artisti del nostro Rinascimento, quello che forse meglio rappresenta la ricchezza culturale, le propensioni umanistiche e insieme le contraddizioni e i conflitti della Firenze medicea dell’ultimo terzo del Quattrocento. Fu commissionata intorno al 1475 per la sua cappella di famiglia – dedicata all’Epifania – nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze dal cambiavalute Guasparre di Zanobi da Lama, un importante personaggio dell’entourage dei Medici ch’egli volle infatti far rappresentare nelle figure dei tre re magi: in quella di Gaspare il “fondatore” e pater patriae Cosimo il vecchio, morto nel 1464; in quelle degli altri due re in rosso e in bianco inginocchiati in primo piano e a colloquio tra loro quelle rispettivamente dei suoi due figli Piero il Gottoso, morto nel 1469, e Giovanni, morto nel 1463; mentre in quelle dei tre personaggi in piedi all’estrema sinistra, il primo dei quali armato di spada, sarebbero raffigurati il nipote Giuliano de’ Medici (che nel ’75 aveva vinto appunto una giostra), il poeta Angelo Poliziano e l’altro umanista Pico della Mirandola; in quella del giovane appena dietro di loro il fratello di Cosimo, Lorenzo di Giovanni de’ Medici; in quella di giovane pensieroso in piedi e in vesti nere che apre il gruppo di destra l’altro nipote Lorenzo de’ Medici; e nelle due, infine, che dietro di lui rivolgono lo sguardo verso lo spettatore, l’una canuta e l’altra elegantemente avvolta in un manto giallo, il committente Guasparre di Zanobi e il pittore allora trentenne Sandro Botticelli. Realizzata negli anni della prima maturità dell’artista, pochi anni dopo aver frequentato le botteghe di Filippo Lippi e del Verrocchio e poco dopo la Fortezza dipinta nel 1470 per i Medici, ma prima degli affreschi della Sistina e dei già ricordati capolavori degli Uffizi, la Primavera, la Pallade e la Nascita di Venere, l’opera è ricordata in chiesa come di mano di Botticelli sin dall’Albertini, nel 1510, e dové colpire i contemporanei per la presenza nella scena sacra di «più persone ritratte a naturale» (Anonimo Magliabechiano 1542-48), per l’indescrivibile «bellezza che Sandro mostrò nelle teste che si veggono, … quale di faccia, quale in profilo» e per «la perfezione di suo magistero, … per colorito, per disegno e per componimento» (Vasari 1550).